Arcobaleni e Tempeste di Sabbia Arcobaleni e Tempeste di Sabbia (2005)




Estratti dal libro "Arcobaleni e Tempeste di Sabbia"

LA DONNA: "...mi rispose e furono tempeste di arcobaleni e arcobaleni di tempesta e mentre si girava per andarsene ebbi la certezza che quel tale aveva ragione quando cantò che Dio aveva mandato qualche buona donna sulla terra per salvare i pagliacci."

LE PAROLE: "Lungo la strada, in macchina, una quantità impressionante di pensieri assalì il mio cervello. Lungo la strada, in macchina, tutte le parole perdute tornarono una ad una. Erano talmente tante che qualcuna deve essere inevitabilmente volata fuori dal finestrino per andare a spiaccicarsi sul parabrezza di qualche altra vettura. La parola giusta è assalto: fu un assalto."

I CONCERTI: "...Poi, incominciai a scordare completamente la chitarra e feci saltare due corde. Le corde saltarono e io continuai a suonare e a scordare la chitarra e un'altra corda mi disse addio con un suono secco. Adoro il suono delle corde che si rompono. Feci tanto di quel casino che quando alzai gli occhi i bikers si erano tramutati in pubblico, la mia chitarra scordata aveva avuto lo stesso effetto che ebbe il bacio della principessa sul ranocchio. Qualcuno applaudì, qualcun altro mi guardò trucemente, troppo trucemente; io staccai il jack, presi la chitarra e me la filai. Fu un gran concerto."

L'ATTACCAPANNI: "Passò una settimana, finché un giorno mi svegliai e scelsi un attaccapanni: scelsi un attaccapanni a cui appendere il mio destino. E' questo quello che faccio quando non riesco a prendere una decisione, dirotto le mie energie sulla ricerca di un opportuno attaccapanni, mi sfilo di dosso il destino come fosse un impermeabile e lo lascio lì ad asciugare."

LE NUVOLE: "Non deve essere un mestiere facile quello della nuvola, a volte si devono sentire come quei rappresentanti di spazzole che si vedono in certi film, sempre sbattuti da una parte all’altra del globo senza posa o magari chissà, le nuvole hanno un’anima oppure sono i nostri guardiani oppure servono solo a cancellare momentaneamente alcuni punti del cielo, come delle gigantesche gomme volanti…"

NICK DRAKE: "Il lusso e la gioventù mi accompagnarono in strada, l’illusione mi salutò dalla finestra con in mano il disco di Nick Drake."

L'INCONTRO: "Ci incamminammo verso la gelateria. Percorsi cento metri incontrammo un mio amico con la sua ragazza.
Io odio incontrare la gente per strada; insomma, io sono lì che cammino pensando ai fatti miei, oppure sono in compagnia di qualcuno e all’improvviso salta fuori un’altra persona dal nulla e mi tocca salutarla e, nei casi più sfortunati, intrattenere una breve conversazione completamente inutile. Capirete che è una faccenda estremamente faticosa, sarebbe molto meglio mandarsi amichevolmente a quel paese;

- Toh, chi si vede! Come va?
- Fottiti!
- Vaffanculo!
- Ciao
- Ciao

Mi trattenni dal mandare il mio amico a quel paese, in fondo sono una persona buona di cuore e non ci posso proprio fare niente. Insomma salta fuori che il mio amico doveva andare in Germania con un suo collega a tenere una conferenza, ma il suddetto collega aveva avuto dei problemi intestinali il giorno prima della partenza: "Abbiamo dovuto rimandare. Abbiamo proposto di tenere la conferenza dalla tazza del cesso, ma hanno rifiutato" disse il mio amico, poi mi salutò e io feci lo stesso pensando che questo incontro improvviso non era stato poi così male."

AGOSTO: "Se io fossi stato il re del mondo, quell’Agosto sarebbe durato una settimana. Quell’Agosto durò 31 lunghissimi giorni, quindi io non ero il re del mondo."

I PANINI: "Ci portarono due panini, io per sbaglio addentai il suo perché lei per errore aveva messo il ketchup nel mio pensando che fosse il suo che, ovviamente era il mio. A me non piace il ketchup, a me piace la maionese e fu con la maionese che io affogai il mio panino, panino che era però il suo panino. Alla fine di questo turbinare di eventi niente era nel suo luogo di competenza: il mio panino era sul di lei piatto sommerso di ketchup e portava già i non indifferenti segni di un morso famelico mentre il suo panino era nel mio piatto che litigava con la maionese. Questo, però, sarebbe stato niente se non si fosse aggiunto l’imbarazzante episodio dello scambio dei prosciutti: cotto nel mio panino al prosciutto crudo e crudo nel suo al prosciutto cotto. Ci scambiammo i panini: nessuno di noi due ha mai capito che panino ci toccò in sorte e quale fosse il suo contenuto. Fu commovente a tratti struggente e io capii che io e lei eravamo fatti per stare insieme."

LA PIOGGIA: "Il giorno successivo ci fu il sole, perciò mi fu impossibile chiamarla. La pioggia bussò alla mia porta il giorno dopo. Questa volta ci fu un diluvio di portata biblica. La invitai ad uscire, lei declinò l’invito, le chiesi se voleva uscire con me la sera della prossima giornata di pioggia, lei acconsentì. Ero a posto: le previsioni davano pioggia per altri quattro giorni. Il mio interruttore di arcobaleni e tempeste di sabbia non aveva scampo."

IL PARADOSSO: "Non capita tutti i giorni di consegnare ad un personaggio di un proprio racconto le bozze dei primi due capitoli del racconto che lo vede protagonista. Questo è già di per se un piccolo paradosso.
Quando il giorno dopo lei mi scrisse che aveva letto il primo capitolo e le era piaciuto molto, mi trovai di fronte ad una ulteriore, incredibile sfida: mettere nel racconto il commento che un personaggio aveva fatto relativamente al racconto stesso. Raccolsi la sfida, infatti ho appena detto che il primo capitolo le piacque. A pensarci bene mi sarei potuto spingere ben oltre: avrei potuto correre nuovamente da lei qualche giorno dopo per farle leggere QUESTE RIGHE, ESATTAMENTE QUESTE, ESATTAMENTE QUESTA PAROLE che state leggendo in questo preciso istante  e chiederle se concordava col fatto che in QUESTO capitolo io avevo deciso di scrivere l’impressione che lei aveva avuto leggendo i primi due capitoli. Come potete immaginare la sua risposta sarebbe inevitabilmente finita in questo racconto, ma la cosa veramente interessante è che vi sarebbe dovuta finire anche se lei fosse stata di parere opposto; infatti non potendo omettere il fatto che le avevo consegnato i primi due capitoli, non avrei potuto mai e poi mai giustificare dal punto di vista narrativo l’assenza della sua opinione relativa al primo capitolo se non proprio stigmatizzando la fiera opposizione che lei avrebbe opposto nei confronti di una tale rappresentazione letteraria degli eventi.
Siamo dunque di fronte ad un paradosso?
Io, personalmente, in qualità di autore non posso che sostenere il partito del paradosso, sarebbe assurdo che mi schierassi dall’altra sponda dopo avere denominato QUESTO capitolo “Il Paradosso”. Dunque, come vedete, io ho le mani legate.
Certo, potrei cambiare il titolo di QUESTO capitolo; una mossa di questo tipo mi garantirebbe un approccio al problema libero da vincoli, però, e dico però, mi piace il titolo di questo capitolo, quindi ecco che il mio ‘senso estetico’, se così lo possiamo chiamare, parrebbe avere un ruolo dominante rispetto al mio ‘senso logico’. Si tenga presente che quest’ultimo discorso perde di significato nel momento in cui riconoscessimo un ruolo anche estetico al senso logico o viceversa; in tal caso, infatti, avremmo una parziale se non totale sovrapposizione dei due concetti e tale parziale se non totale sovrapposizione impedirebbe l’antagonismo reciproco che rappresenta il fulcro della disquisizione sin qui affrontata.
Mi gira la testa, ho bisogno di allentare la tensione scrivendo un capitolo di sublime e soave leggerezza.
Il capitolo successivo sarà il mio personale capolavoro di leggiadria letteraria."

IL VENTO E I FILI D'ERBA: "Ci sono i giorni in cui si alza il vento ed è in quei giorni che il filo d’erba, il nostro destino, si piega fino a toccare i fili d’erba che gli stanno vicino, gli altri: può essere un uragano o una brezza leggera quella che ci maltratta o ci accarezza, il nostro destino può incrociarsi con quello degli altri in modo violento oppure può sfiorarlo piano, con grazia, ma la cosa fondamentale è che alla fine di ogni singolo giorno potremo dire di aver vissuto.
Nelle giornate senza vento, invece, il filo d’erba si staglia orgoglioso e solitario nel prato perché, pur essendo circondato da milioni di fili d’erba, niente lo spinge a piegarsi verso gli altri. Sono giorni questi in cui potremo sì dire di avere vissuto, ma forse non come, forse non quanto abbiamo vissuto nei giorni degli uragani o in quelli delle brezze."

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